L’antefatto.
Come ogni anno, ho preso parte alla veglia pasquale nella notte santa presso la mia parrocchia: la liturgia della luce, il canto dell’Exsultet, la liturgia della parola (con le sue diverse letture) e poi, ancora, la liturgia battesimale, con le litanie dei santi e la rinnovazione delle promesse battesimali e, infine, la consacrazione eucaristica.
Nel mezzo, il parroco che nell’omelia parla di Cristo come il Redentore dell’uomo, “centro del cosmo e della storia” (per usare le parole di San Giovanni Paolo II, in Redemptor Hominis) e, quindi, illustra l’evento della Risurrezione come vero fatto storico, sigillo della divinità di Cristo e della vittoria di questi sulla morte e sul peccato; perché Cristo, prima di risorgere è morto, ha sofferto da vero uomo e non è morto per simboleggiare un gesto di altruismo, come modello di azione per tutti, ma si è sacrificato in espiazione dei nostri peccati, dei miei peccati.
Il parroco, dicevo, conclude l’omelia sottolineando il dogma della risurrezione della carne, da noi tutti professato nel Credo: non c’è posto, quindi, dal pulpito, per il vuoto sentimentalismo, la Solennità di Pasqua ci chiama a far memoria di Cristo, della gloria che è seguita alla passione, di un nemico che è stato sconfitto, del dono di Dio dato ad ogni uomo di salvarsi: un dono che deve essere chiesto, impetrato, con mani giunte in preghiera e non con le mani di chi pretende qualcosa come suo, di diritto, senza chiedere, senza impegnarsi, senza riconoscere il proprio errore, la propria colpa.
L’insieme delle varie parti della liturgia, i bellissimi canti del coro e l’omelia del parroco, sedimentano nel mio cuore, al termine della funzione religiosa, un raggio di grazia, di trascendenza, di mistero pasquale che rinnova e rinvigorisce una fede sempre esposta all’errore e alla deviazione, ma, non per questo, vacillante.
Il mattino seguente, la domenica di Pasqua (1° aprile), attivo il cellulare e ricevo, tramite messaggistica istantanea, dei cc.dd. “auguri”, dal tenore a dir poco controverso.
Entrambe le raffigurazioni trasmettono un unico ed evidente messaggio satirico, determinato dal fatto che quest’anno la domenica di Pasqua coincide con il primo aprile, giorno in cui, per tradizione, si realizzano degli scherzi di varia sorte.
La visione di queste immagini ha suscitato un generale senso di commiserazione, non disgiunto da un vivo interesse sulla relativa natura umana, per le persone che si sollazzano nel condividere queste opere di ingegno.
Alla commiserazione sono seguite le domande (non inedite nell’autore) e, infine, l’esigenza di mettere per iscritto alcune considerazioni, modeste quanto, però, al contempo, doverose.
Un profeta: il Card. Biffi e la intelligente e penetrante ironia del suo “Quinto Evangelo”.
Il Card. Giacomi Biffi (1928-2015) nel 1969, quando era ancora parroco, scrisse un pamphlet ironico dal titolo “Il Quinto Evangelo” in cui finge la scoperta di un nuovo vangelo che “corregge” i vangeli canonici.
La predetta opera di Biffi, sempre in chiave ironica, è struttura nel seguente modo: riproduzione del (finto) frammento ritrovato (che dovrebbe “correggere” il parallelo passo evangelico canonico) e breve commento dell’Autore.
C’è un frammento, il nr. 17, che ben si adatta alla nostra vicenda e ai problemi ad essa sottesi: FRAMMENTO 17 (cfr. con l’originale in Matteo 22,1-14):
«Il Regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio, ma
tutti gli invitati rifiutarono di venire. Allora fu radunato il consiglio della corona e si
ricercarono le cause dell’insuccesso. E uno disse: I servi hanno sbagliato l’ora,
dovevano studiare il momento opportuno.
E un altro disse: Non dovevano presentarsi con la loro livrea, ma vestiti come tutti gli altri.
E un terzo: Non hanno saputo capire la mentalità dei destinatari e adattarsi al loro linguaggio.
Uno osservò: Forse non sono venuti perché non avevano voglia di venire.
Ma tutti gli diedero contro»
(Quinto Evangelo)
Il commento (ironico) di Biffi:
«Il senso di questa parabola ci sembra ovvio.
Ci limitiamo soltanto a una nota di biasimo all’indirizzo dell’ultimo consigliere che con spirito
superficiale e qualunquista ha potuto pensare a una soluzione tanto semplice dell’enigma.»
Adopero, nei confronti del Card. Biffi, in senso atecnico e improprio, il sostantivo “profeta” per l’evidente ragione che nel suo testo, del lontano 1969, in poche battute, sono esposte, con largo anticipo, “problematiche” attuali, prima fra tutte, come trasmettere il messaggio evangelico alle nuove generazioni.
Biffi, dal canto suo, è netto: possono essere usati i più bei e affascinanti linguaggi e metodi comunicativi, ma se chi ascolta non ha sete e fame di verità, ogni tentativo risulterà vano, sterile e, cosa più grave, frustrante, per tutti, dagli operatori pastorali ai fedeli laici.
“Cristo è Risorto!” – “Grazie, ringrazialo. A me, però, interessa altro”.
Le persone destinatarie della c.d. “nuova evangelizzazione” sono, nella maggior parte dei casi, le medesime che diffondo (con fervente spirito divulgativo, in questo caso sì) i messaggi di auguri, di natura satirica (al limite del blasfemo), di cui sopra.
A questo dato è da aggiungersi un altro: la quasi unanimità delle predette persone non è digiuna assoluta di catechismo, anzi, i più hanno ricevuto i sacramenti del battesimo e della cresima.
Arrivati all’età adulta (quella che segue all’adolescenza, ovvero intorno ai diciotto anni – i “giovani”, in quanto tali, non esistono) queste persone, questi fratelli nella fede, destinatari di sacramenti e di ore e ore di catechismo, abbandonano la fede, oppure, nella migliore delle ipotesi, con strumenti gnoseoligici e speculativi limitati, per non dire nulli, si autoistituiscono una propria religione pseudo-cristiana, il cui emblema è il motto: “Credo in Gesù, come uomo, ma non nella Chiesa”, oppure “se devo pregare lo faccio da solo, mica in chiesa” ecc. ecc.
Convinti di essersi liberati di un (ipotetico e infondato) potere oscurantista, entrano di buon grado, con gaiezza, in un mondo – questo sì – oscuro, dove ogni valore è ambivalente (A è diverso da B ma è anche B) e, in difetto della fiaccola alimentata dalla fiamma della fede cristiana e sostenuta dall’abbraccio umano della ragione, si perdono dietro falsi e offensivi divertimenti, non da ultimo, quello di sbeffeggiare l’evento culmine del credere cristiano, la Risurrezione di Cristo, sotto una menzognera (anche in buona fede, data da ignoranza) veste di scherzosità.
Quindi, l’esatta obiezione riportata nel (falso e ironico) Frammento nr. 17 del Quinto Evangelo di Biffi ritorna nella sua immediatezza: «Forse non sono venuti [al banchetto eucaristico; alla mensa della Parola di Dio] perché non avevano voglia di venire».
È nel cuore dell’uomo, del singolo uomo, nella sua coscienza, nel foro interno e sovrano del suo libero arbitrio, che si gioca la scelta fondamentale in favore di Cristo (“il centro del cosmo e della storia”) oppure del nulla, del male ontologico, che è privazione di bene e, quindi, di essenza.
«Io, tutti quelli che amo, li rimprovero e li educo. Sii dunque zelante e convèrtiti. Ecco: sto alla porta e busso.
Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.»
(Apocalisse 3, 20-21).
di Angelo Greco
angelomattia@gmail.com