I CICLI SISTEMICI DI ACCUMULAZIONE: LE TRASFORMAZIONI EGEMONICHE DELL’ECONOMIA-MONDO CAPITALISTICA. Recensione del libro di Giovanni Arrighi
La scienza del XX secolo ha rivoluzionato il dominante pensiero meccanicistico che ha pervaso per secoli le scienze occidentali mettendo in luce una realtà dominata da “totalità sistemiche integrate” (1). Una visione, questa, che ha mostrato ben presto la propria applicabilità ad ambiti dissimili, non ultima l’Economia. Tra i sistemic thinking person figura sicuramente il sociologo ed economista Giovanni Arrighi, intellettuale dal profilo internazionale.
Secondo Arrighi, le crisi economiche sono inquadrabili in un sistema che egli chiama “ciclo sistemico di accumulazione”. Un ciclo economico viene avviato da uno Stato egemone che emerge e guida economicamente gli altri Stati e le altre economie. La posizione di preminenza è determinata da una innovazione tecnologica o produttiva che il Paese egemone è in grado di produrre ma anche dalla posizione geografica vantaggiosa rispetto a canali produttivi e di esportazione. Il successo generato dalla nazione egemone provoca un effetto emulativo negli altri Stati, i quali saranno interessati a riprodurre le medesime condizioni che hanno generato il successo della nazione egemone. Si viene, così a creare un processo competitivo che crea le condizioni di una transizione egemonica. Ogni transizione egemonica è caratterizzata da una crisi egemonica e da un crollo egemonico che dà vita ad un nuovo ciclo storico, introdotto da quella che Arrighi chiama la “sorpresa interstiziale”. La sorpresa interstiziale viene originata in presenza di un’insieme di entità governative e imprenditoriali in rapporto le une con le altre e capaci di creare una nuova organizzazione sistemica e, dunque, una nuova organizzazione del sistema mondiale. Gli interstizi sono parti degli stessi sistemi, non bene integrate in essi, ma che trovano l’opportunità di emergere portando la propria sfida alle strutture dominanti.
Nel mondo occidentale, dalla Repubblica di Venezia al predominio inglese, si sono verificati dei passaggi interstiziali che hanno prodotto un passaggio di consegne tra Paesi egemoni e una conseguente alterazione dei sistemi economici regolati dai rapporti tra Stati e imprese. La posizione geografica della Repubblica di Venezia garantiva commerci profittevoli con l’Oriente. Le merci venivano trasportate dalle flotte navali nel resto del mondo occidentale. Ciò ha provocato uno slancio concorrenziale alternativo da parte degli altri Stati. La sorpresa interstiziale della scoperta del Nuovo Mondo, ha creato nuovi flussi commerciali e nuovi Paesi egemoni. Ciò ha messo in crisi il vecchio sistema egemonico portandolo al collasso e facendone emergere uno nuovo con nuove materie prime e prodotti commerciali. Tale sistema è nuovamente saltato in virtù di nuove sorprese interstiziali: le innovazioni tecnologiche elaborate in Inghilterra, che hanno decretato un nuovo imprinting all’economia occidentale, il cui interesse ha iniziato a gravitare intorno a nuovi prodotti e ha creato nuovi sistemi relazionali Stato-impresa. Ancora una volta, la posizione geografica strategica ha avuto un ruolo importante nell’affermazione della nuova sorpresa interstiziale. Un ulteriore passaggio è stato decretato dai due conflitti mondiali generati da una crisi economica conseguente alla concorrenza produttiva industriale dei Paesi mitteleuropei. Si crea una disorganizzazione del sistema. La capacità innovativa e produttiva di Francia e Germania non sta al passo con un nuovo competitore, gli Stati Uniti, capace di creare una novità nel campo dei settori produttivi: le imprese multinazionali. Gli Stati europei per rispondere ai colossi multinazionali americani creano, dunque, il Mercato Comune Europeo.
Il Mercato Comune Europeo è, di fatto, un tentativo di unificazione dei mercati del Vecchio Mondo per stare al passo con il mercato statunitense in un contesto in cui si viene a creare una nuova e rivoluzionaria realtà: la creazione di imprese multinazionali capaci di muovere flussi sempre maggiori di capitali da un Paese all’altro, preferibilmente dove i profitti sono più alti, ovvero dove la spesa da dedicare alla forza lavoro e alle tasse è minore, lasciando maggiori margini di guadagno. Dunque, la visione delle multinazionali è globale, non è legata ad uno Stato in particolare. Il 30-40% del trasferimento di capitali non sono scambi commerciali ma trasferimenti interni delle multinazionali da un Paese all’altro. Gli Stati, in questo nuovo ordine mondiale, non hanno il controllo sulle entrate e uscite di denaro né sulla produzione. La concorrenza ormai non è più solo tra Stati ma anche e soprattutto tra multinazionali che sono cresciute di numero nel tempo. Questa rivoluzione avviene in un contesto storico determinato dalla guerra del Vietnam, che porta a squilibri sociali e diffuso dissenso. Si arriva alla crisi fiscale degli Usa accentuata dal rifiuto delle multinazionali di finanziare la guerra. Ciò le porta a trasferire denaro in altre aree valutarie e questo mette in crisi gli accordi di Bretton Woods (convertibilità in dollari delle altre valute, etc.). D’altra parte, le accumulazioni crescenti possono continuare solo finché resiste il consenso di chi perde (i lavoratori). Ma si arriva al punto in cui non c’è più niente da redistribuire perché i consumi dei lavoratori sono esigui a causa di esigui salari. Da qui il crollo del sistema globale, esperienza già vissuta nel 1929.
In tutto questo la guerra ha troppo indebitato gli USA perché possano guidare l’economia mondiale e dare un orientamento ai mercati. Ma i mercati non si autoregolano per definizione. Hanno bisogno di organizzazioni politiche egemoniche oggi inesistenti. Secondo Arrighi siamo al momento della crisi cui succederà il crollo. Un elemento cui fare attenzione è, secondo il filosofo, la crisi ambientale. I danni sarebbero irrecuperabili e, dunque, sarà un tema cardine da affrontare per il nuovo ordine mondiale. Nella visione di Arrighi, ad ogni modo, è difficile fare previsioni sul movente che determinerà il crollo definitivo dell’attuale ciclo sistemico, proprio a causa della difficile rete di relazioni determinata dalla globalizzazione. E’ certo, tuttavia, che non avverrà attraverso una guerra dichiarata agli Stati Uniti. Anche perché la guerra, nel suo sistema di pensiero, è una metodologia superata per affrontare le crisi.
Abbracciando positivamente le considerazioni storiche che comprovano la validità della teoria dei cicli sistemici di accumulazione, le previsioni riguardanti le modalità attraverso cui si verificherà la fine dell’attuale ciclo sono, però, da condividere solo parzialmente. D’altronde siamo su un terreno dalle caratteristiche del tutto sconosciute e, d’altra parte, Arrighi ha lasciato questo mondo durante le prime battute della crisi economico-finanziaria ufficialmente scoppiata nel 2008, in un contesto geopolitico in rapida evoluzione (o involuzione). In un contesto in cui gli Stati non solo non riescono ad avere un ruolo egemonico ma, anzi, liberano il campo alle corporazioni transnazionali, tra cui quelle del settore energetico edificato sui combustibili fossili, le mosse delle lobby internazionali della fossil-fuel connection dimostrano forte resilienza e scarsissima lungimiranza rispetto ad una crisi annunciata da decenni e danno prova di non riuscire a farsi seriamente promotori di alternative percorribili (ad es.: la democratizzazione del sistema energetico) in quanto ciò scardinerebbe un sistema ben oliato di rapporti di potere. La crescente fame di energia della Cina, con la sua “galoppata” verso la crescita economica, sta sicuramente influenzando le scelte dell’Occidente e costituisce certamente una sorpresa interstiziale. Arrighi, con preveggenza, in questi scritti parla di Oriente come di possibile “nucleo regionale di scambio”.
La crescita senza fine delle corporazioni si ambienta, tuttavia, in un pianeta “finito”, in cui, cioè, le risorse stanno terminando o sono fortemente messe in pericolo. Dunque Arrighi afferma che la questione ambientale dovrà essere l’elemento da cui ripartire nel prossimo ciclo di accumulazione. Tuttavia la crisi ambientale ha tutte le caratteristiche per vestire i panni de “LA” sorpresa interstiziale, capace di dare il colpo di grazia all’attuale ciclo: la portata di eventi naturali imprevedibili e la velocità con cui si verificano è un fattore fortemente destabilizzante cui la stessa NATO dedica attenzione, perché possibile causa di guerre civili legate da un nesso di causa-effetto rispetto a rapporti di forza tra Stati generati dalla corsa alle risorse. A questo si aggiunga la mano umana. Se è vero che gli Stati Uniti non possono affrontare il dissenso interno che scaturirebbe da una guerra, è anche vero che, come ormai da più parti in campo strategico-militare si afferma, esiste anche il modo di colpire un Paese evitando l’uso delle armi: attraverso le guerre ambientali, appunto. E, comunque, l’uso indiscriminato e crescente di pesticidi ha condotto alla desertificazione di terreni vastissimi un po’ ovunque, provocando un drastico impoverimento delle capacità nutritive del terreno e, dunque, della produttività. Tutto questo continua a creare fortissime instabilità sociali che si ripercuotono sullo stesso capitale che il sistema finanziario globale si ostina disperatamente a difendere in un gioco di equilibrismi, erodendo la base su cui esso stesso poggia.
L’urgenza di estendere il pensiero sistemico secondo una logica “circolare” più che lineare, in cui ogni nodo della “rete”, nel bene e nel male, influenza gli altri, appare, dunque, quanto mai manifesto. Arrighi sviluppa assunti, evidenzia relazioni le quali portano in sé la soluzione ai dilemmi della sfera eco-logica ed eco-nomica propri degli ultimi due secoli. Appare, tuttavia, lenta l’indispensabile maturazione di una visione a largo spettro che consenta alla politica di avviare i passi necessari affinché il passaggio al nuovo ciclo che ci attende sia il meno doloroso possibile.
Dott.ssa Chiara Madaro, IASSP
(1) Fritjof Capra, Pier Luigi Luisi, “Vita e Natura, una visione sistemica”, p. 87, Ed. Aboca, 2014