La negoziabilità del potere pubblico e gli strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla tutela giurisdizionale, con particolare riguardo al settore dei contratti pubblici [1].
La problematica posta all’attenzione guarda al potere, ossia all’entità logica tramite cui l’Amministrazione agisce al fine di perseguire il soddisfacimento del pubblico interesse.
Riflettere circa la negoziabilità di questa entità significa dare atto della complessità che avvolge tale prerogativa, in quanto agire tramite accordo, che è la base della negoziazione (art. 1321 c.c.), dimostra come il potere possa enuclearsi in modi differenti, andando oltre il classico schema unilaterale, senza che ciò ne infici l’autoritatività.
Le dinamiche che vedono coinvolti i protagonisti del rapporto di diritto amministrativo, ossia la proteiforme figura della PA ed il privato, sempre più utente e meno amministrato, dimostrano come potere ed interesse legittimo possano incontrarsi dando vita ad accordi aventi ad oggetto la funzione amministrativa, in cui la naturale opposizione tra queste due posizioni cede il passo alla cooperazione.
Orbene, la questione oggetto di analisi da un lato non può fare a meno di guardare al potere prima della produzione dell’effetto giuridico che, alla luce dell’accordo, non è più provvedimento, bensì negozio giuridico; dall’altro è chiamata a riflettere circa le conseguenze che discendono dalla violazione dell’equilibrio insito nell’accordo ed alla gestione delle controversie che la patologia del medesimo ingenera tra le parti protagoniste della vicenda negoziale.
Quest’ultimo aspetto è quello posto maggiormente in risalto dalla riflessione oggetto della presente disamina, giacché non vi è dubbio circa la possibilità di affidare a strumenti alternativi alla giurisdizione la risoluzione delle controversie; semmai esso si pone circa la possibilità di guardare i protagonisti della vicenda (PA e privato) quali titolari di situazioni giuridiche soggettive disponibili, sebbene, a livello generale, sia il potere sia l’interesse legittimo siano vincolati alla legge attributiva del primo, il che imbriglia ogni ragionamento circa la facile disponibilità di tali posizioni.
Lo studio del procedimento amministrativo consente all’interprete di osservare come l’attività autoritativa della PA possa conciliarsi con il concetto di accordo, sicché lo statuto della funzione amministrativa (art. 1, comma 1 Legge 241/1990) può essere rispettato anche quando il potere attribuito dalla Legge all’Amministrazione viene negoziato secondo quanto espresso dall’art. 11 della Legge 241/1990 (Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento).
L’Amministrazione tramite accordi è classica espressione di componimento di opposti interessi all’interno di una decisione che le parti generatrici della stessa si impegnano a realizzare. Tale dinamica non solo interessa l’attività amministrativa intermedia di cui all’art. 11 della Legge 241/1990, ma guarda anche alla figura della conferenza di servizi (artt. 14 e ss. Legge 241/1990) ovvero agli accordi tra PP.AA di cui all’art. 15 Legge 241/1990.
Tali norme sono tutte espressione del fenomeno della negoziazione del potere pubblico, al di là dell’azione iure privatorum ex art. 1, comma 1 bis della Legge 241/1990, ove l’assenza di autoritatività vede l’ingresso del diritto comune, sebbene orientato alla soddisfazione di un pubblico interesse.
Discende da ciò che quando si parla di negoziazione del potere pubblico si parla di una modalità differente di esercizio del medesimo, la quale è sempre avvinta dal principio di legalità che necessariamente deve connotare l’agire della PA nel mondo giuridico.
D’altronde le prerogative pubblicistiche non possono essere negoziate fuori dai limiti esterni dettati dalla legge, in quanto il superamento di questi confini, posti a presidio dell’interesse pubblico ed al buon andamento dell’azione volta alla sua gestione, vedrebbe la funzione oggetto di mercimonio, dei cui effetti si occupa l’ordinamento penale all’atto di regolamentare i reati dei P.U. contro la PA (Libro II – Titolo II – Capo I c.p.).
Orbene, l’interprete avveduto non può non osservare come il fenomeno della negoziabilità del potere pubblico sia soggetto ad una eterogena rappresentazione.
La lente tramite cui può essere osservato il dipanarsi della negoziazione non è fissa, giacché essa, come un caleidoscopio, sorprende la vista con differenti modalità di rifrazione della luce, atteso che le dinamiche generatrici del provvedimento tramite accordi, ben possono trovare spazio anche in sede di gestione delle conseguenze afferenti la patologia delle relazioni giuridiche incastonate nell’accordo.
Una simile rappresentazione della vicenda è in grado di far comprendere la complessità della tematica ove si sovrappongono piani ed il potere non ha più come suo naturale contrappunto l’interesse legittimo, bensì il diritto soggettivo.
Se così non fosse non si comprenderebbe il senso di quanto affermato dall’art. 12 c.p.a., alla stregua del quale le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbitrato rituale (artt. 806 e ss. c.p.c.).
Ciò sta a significare come la negoziabilità del potere pubblico sia oggetto di attenzione della giurisdizione esclusiva del GA (art. 133 c.p.a.), dimostrando un affastellamento di luci che crea un groviglio di sfumature i cui colori primari sono difficili da isolare.
Diritto soggettivo ed interesse legittimo si sommano tra loro in contesti in cui il potere incide sul privato senza che sia possibile comprimere totalmente le sue prerogative; non è un caso che la maggior parte delle questioni in cui è coinvolta la dinamica negoziale siano devolute alla giurisdizione esclusiva del GA, volta alla verifica del legittimo utilizzo del potere quando la PA, pur agendo d’imperio, si relazione con il diritto soggettivo (art. 103; 113 Cost).
Ciò accade in relazione agli accordi di cui all’art. 11 Legge 241/1990 (art. 133, comma 1, lett. a) n.° 2 c.p.a.); ovvero in sede di atti posti in essere dalla PA in relazione ad aspetti di gestione ed uso del territorio, si pensi agli accordi di cessione del suolo in alternativa alla dinamica espropriativa (art. 45 D.P.R. 327/2001 in relazione all’art. 133, comma 1, lett. g) c.p.a.).
Simile dinamica interessa l’intero settore dei servizi pubblici, ove l’accesso alla giurisdizione viene sottoposto alla precondizione di aver esperito procedure di conciliazione che fungono da condizione di procedibilità della domanda, spesso tali dinamiche vengono esplicitamente indicate nelle carte dei servizi rese note all’utenza.
La questione interessa, in modo particolare, il fenomeno dei contratti pubblici, ove la giurisdizione del giudice amministrativo è chiamata a conoscere dei diritti soggettivi coinvolti nella dinamica di evidenza pubblica (art. 133, comma 1 lett. e) n.° 1 c.p.a.).
Orbene, la possibilità che tali dinamiche possano essere influenzate dalla presenza di strumenti alternativi alla giurisdizione, come dimostrato dalla presenza di clausole compromissorie che consentono l’accesso alla procedura arbitrale, è indice dell’evoluzione dei tempi.
La regolamentazione degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie è il frutto dell’influenza euro-unitaria ove il fenomeno della “degiurisdizionalizzazione” dei conflitti è molto sentito.
Molteplici sono, infatti, le riflessioni che in sede europea (ma anche a livello internazionale) sono state poste in essere circa la creazione di un sistema parallelo a quello della giurisdizione, con l’intento di diminuire il contenzioso, ingenerando logiche di composizione dei conflitti al di là della manifestazione del potere statuale, inteso come detentore del potere di iusdicere.
Il fenomeno delle Alternative Dispute Resolutions (ADR) è al centro di grandi dibattiti tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza; sebbene tale dinamica sia oramai emersa nell’ambito delle giurisdizione ordinaria, risulta complesso guardare ad una pedissequa attuazione del suo statuto in sede amministrativa.
Ciò in quanto molte delle misure individuate come alternativa alla giurisdizione si pongono in un’ottica di tutela di diritti soggettivi del cittadino, il quale può rivolgersi alla potestà pubblica per giungere ad una soluzione di compromesso con la controparte, senza voler accedere alla tutela giurisdizionale. Si veda sul punto la creazione di un sistema parallelo al processo enucleato in sede di regolamentazione dei conflitti in materia di privacy (D.Lgs. 196/2003), ove un ruolo di primo piano viene affidato al Garante per la protezione dei dati personali verso cui il privato può ricorrere in via alternativa alla giurisdizione ordinaria (artt. 145 e ss. D.Lgs. 196/2003).
Le ADR sono spesso connesse alla tutela dell’utente rispetto ai disservizi dell’Amministrazione, sicché non si è dinnanzi alla classica dinamica oppositiva potere/interesse legittimo, ma a diritti soggettivi orientati alla completa e soddisfacente fruizione del pubblico servizio. A livello euro-unitario l’esempio del Mediatore europeo ex art. 228 TFUE è espressione di questa dinamica, giacché questa figura interviene a risolvere questioni di cattiva Amministrazione, sulla base di denunce presentate da qualsiasi cittadino dell’Unione Europea o di qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato Membro; salvo la Corte di Giustizia dell’Unione nell’esercizio delle sue funzioni giurisdizionali.
Gli esempi che precedono, oltre a dare una rappresentazione della eterogeneità della questione, sono dimostrazione di come l’alternativa alla giurisdizione viene a porsi come logica di componimento del conflitto che investe la PA nel ruolo di Autorità amministrativa indipendente.
Molti settori dell’ordinamento giuridico, dalla consumeristica alla concorrenza nel mercato o per il mercato, passando per il settore del credito (sul punto si veda l’art. 128 bis del D.Lgs. 385/1993 T.U.B., rubricato: Risoluzione delle controversie), sono interessati da questo fenomeno, espressione della erosione del concetto stesso di Statualità.
Questi strumenti alternativi funziono all’interno di dinamiche ove l’interesse pubblico è lo sfondo dello scenario che vede coinvolti soggetti privati che negoziano nel mondo giuridico. Le banche e gli intermediari finanziari aderiscono a sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela.
Sul punto si guardi al ruolo ricoperto dalla Banca d’Italia che, ai sensi del comma 3 bis dell’art. 128 bis del D.Lgs. 385/1993, indica la via delle ADR ai fini di risolvere le controversie contro le banche o intermediari finanziari.
Questi strumenti corrono in parallelo alla giurisdizione e da essa mutuano i principi cardine, giacché essi sono improntati alla imparzialità, alla rapidità, alla economicità ed alla effettività della tutela, proprio come accade in ambito giurisdizionale ove tali prerogative sono avvinte dall’espressione giusto processo (art. 111 Cost).
La validità delle ADR si riscontra all’atto di verificare la rispondenza a prerogative fondamentali per uno Stato di diritto improntato a logiche democratiche, in quanto è necessario osservare il rispetto del diritto di difesa (art. 24 Cost) e lo svolgimento della procedura alla luce del principio del contraddittorio (art. 111, comma 2 Cost), onde considerare ammissibile il singolo sistema di risoluzione stragiudiziale della controversia.
Ciò, sotto un certo punto di vista, consente di osservare una evoluzione del concetto stesso di giurisdizione, in quanto la comparsa, in sede internazionale prima ed in sede nazionale poi, di ADR è indice della costante e forse inesorabile venuta meno delle logiche sottese al concetto di Stato, così come sino ad ora studiate dalla dottrina confluita nel costituzionalismo moderno.
La venuta meno del connubio Stato-giurisdizione, tramite la possibilità che la legge regolamenti strumenti alternativi al ricorso ad un giudice (neutro e distante tra le parti) è sintomo della crisi che, oggi, interessa la concezione trilatera del potere sovrano, in quanto la giustizia (il potere giudiziario che viglia sull’esecutivo e sul legislativo) diviene strumento rimesso in mano alle parti.
Tale dinamica è sintomo dell’evoluzione del concetto stesso di Stato, alla luce del principio di sussidiarietà orizzontale, il cui nucleo essenziale è espresso nel comma 4 dell’art. 118 Cost. Lo Stato si allontana sempre di più, lasciando spazi di azione ai privati, anche in contesti che attengono alla delineazione della sua stessa funzione.
Le logiche di riduzione del contenzioso e l’abbattimento dei costi del medesimo sono alla base della ricerca di strumenti alternativi alla risoluzione giudiziaria delle controversie; ciò non deve stupire, in quanto simili strumenti sono sempre stati considerati una possibilità, si pensi allo strumento della transazione ex art. 1965 e ss. c.c. L’elemento di novità che stimola l’interprete risiede nel fatto che tali strumenti, oggi, si pongono come condizioni di procedibilità della domanda giudiziale; ovvero come strumenti che lo stesso Stato incentiva ad utilizzare, non potendosi giustificare altrimenti corpi normativi volti a “degiurisdizionalizzare” ed eliminare l’arretrato del contenzioso in sede di giurisdizione ordinaria civile (D.L. 132/2014 conv con modif in Legge 162/2014) ovvero che stabiliscono incentivi fiscali alla “degiurisdizionalizzazione” (art. 27 bis D.L. 83/2015 conv con modif in Legge 132/2015).
Come è possibile notare, alla luce di queste riflessioni, in questa materia l’interesse pubblico è oggetto di attenzione della giurisdizione ordinaria, in quanto molti provvedimenti deflattivi del contenzioso hanno interessato questo settore (si veda ad esempio la media-conciliazione in materia civile D.Lgs. 28/2010 o la convenzione di negoziazione assistita di cui alla Legge 162/2014).
Ciò in quanto risulta difficile osservare il corretto funzionamento di tali dinamiche quando in gioco vi è la relazione oppositiva tra PA e privato, ovvero tra potere ed interesse legittimo.
Risulta difficile osservare, in tale contesto, la possibilità di giungere ad una tacitazione della lite tramite conciliazione giudiziale, come accade in sede processuale civile ai sensi dell’art. 185 c.p.c.; altresì complesso è osservare il funzionamento delle clausole compromissorie, in quanto il concetto di arbitrato non si concilia con una dinamica provvedimentale di natura autoritativa, posta in essere unilateralmente.
Quando il provvedimento amministrativo non è negoziato, ma è espressione del potere autoritativo tout court non può trovare spazio il fenomeno arbitrale, in quanto logiche di separazione dei poteri impedirebbero di rimettere al giudice civile questioni di cui può conoscere il giudice amministrativo in attuazione di logiche di riparto di giurisdizione, impedendo il corretto funzionamento della procedura arbitrale che scorre in parallelo a quella dettata dal c.p.c. in ambito civile (si veda sul punto l’art. 819 bis c.p.c. comma 1, n.° 2).
Lo stesso meccanismo giustiziale disciplinato dal D.P.R. 1199/1971, che detta la regolamentazione del fenomeno dei ricorsi amministrativi, rappresenta uno strumento che esula dalla dicotomia potere/interesse legittimo. Ciò è dimostrato dalla circostanza che vede il ricorso gerarchico esperibile in seno all’Amministrazione non solo per motivi di legittimità ma anche di merito (art. 1, comma 1 D.P.R. 1199/1971), dimostrandosi strumento alternativo alla giurisdizione di legittimità di cui all’art. 7 c.p.a. (D.Lgs. 104/2010).
Ciò è in linea con le premesse da cui si è dipanata la presente riflessione, ovvero la necessaria presenza di un diritto soggettivo affinché si possa guardare ad uno strumento alternativo alla giurisdizione per regolamentare le questioni sorte su di esso.
Il potere pubblico, una volta negoziato, non ha più come contrappunto l’interesse legittimo, ma il diritto soggettivo. Non si tratta di una riespansione di quest’ultimo a fronte di un primigenio affievolimento dovuto al dipanarsi di prerogative pubblicistiche; bensì di una modalità alternativa di gestione delle controversie che discende da un cattivo utilizzo delle stesse a danno dei privati o viceversa, quando è la scorrettezza privata che lede le prerogative pubbliche.
Ciò in quanto la stessa giurisprudenza costituzionale tiene a sottolineare che l’accesso alla giustizia sia consentito a livello bilaterale, sicché alla luce degli artt. 24, 103 e 113 Cost anche la PA può ricorrere al GA quando il privato viene meno ad impegni inscritti in accordi ex art. 11 della Legge 241/1990; sicché risulta necessario guardare alla possibilità di individuare ADR anche a tutela dell’interesse pubblico che muove l’agire della PA.
Il caleidoscopio con cui occorre osservare questo variopinto fenomeno, in costante espansione, non può non essere puntato verso la contrattualistica pubblica, giacché essa è cartina di tornasole di come gli ADR siano sempre più oggetto di attenzione della legislazione.
Il nuovo codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016) dedica il Capo II del Titolo I – contenzioso – della Parte VI relativa alle disposizioni transitorie e finali, ai rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale.
Le disposizioni contenute negli artt. 205 e ss. del D.Lgs. 50/2016, compendiano tutto quanto sino ad ora affermato, rappresentando una puntuale dimostrazione degli assunti sostenuti.
I rimedi disciplinati guardano ad una situazione successiva allo svolgimento dell’evidenza pubblica, sicché siamo in presenza di una relazione che vede la PA relazionarsi con il diritto soggettivo; gli strumenti individuati sono volti a tacitare le controversie tra protagonisti della vicenda creata dalla aggiudicazione della commessa pubblica (lavoro – servizio – fornitura). Essi hanno una valenza bilaterale a tutela di tutte le parti della relazione e sono improntati alla effettività della soluzione approntata in via negoziale alla controversia sorta.
Il tutto alla luce della professionalità e della qualità dell’opera di coloro i quali sono chiamati, in qualità di terzi, alla gestione della procedura alternativa alla giurisdizione, la cui individuazione è rimessa all’ANAC, presso cui, ai sensi dell’art. 210 D.Lgs. 50/2016, è istituita la Camera arbitrale (i cui componenti, in sede di Consiglio, sono individuati secondo quanto previsto dal comma 7 dell’art. 210).
Tali strumenti sono: l’accordo bonario (artt. 205 e 206 D.Lgs. 50/2016); la transazione (art. 208); l’arbitrato (artt. 209 e 2010); i pareri precontenziosi dell’ANAC ai sensi dell’art. 211, comma 1.
Orbene, per i lavori pubblici (Art. 205) ed in quanto compatibile in sede di prestazione di servizi o forniture (art. 206), si dà atto della possibilità di accedere ad un accordo bonario, afferente valori di riserve iscritte su documenti contabili di cui al comma 1 dell’art. 205.
Tale procedimento ruota intorno alla figura del responsabile unico del procedimento che, ai sensi dell’ultima parte del comma 2, attiva l’accordo bonario per la risoluzione delle riserve iscritte, valutando la ammissibilità e non manifesta infondatezza delle riserve ai fini dell’effettivo raggiungimento dei limiti di valore di cui al comma 1 (comma 3 art. 205); secondo una procedura sintetizzata ai commi 5, 6 e 6 bis dell’art. 205 D.Lgs. 50/2016, da cui si evince che l’accordo bonario ha natura di transazione che si pone come strumento alternativo al giudizio esperibile quando decorsi quarantacinque giorni dalla proposta bonaria da parte dell’impresa, questa non sia stata accettata.
Le controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione di contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, possono essere risolte tramite transazione (art. 208, comma 1 D.Lgs. 50/2016), quando non sia possibile esperire ulteriori rimedi, come l’accordo bonario che giunge al medesimo risultato ma con una più spiccata procedimentalizzazione rispetto a quanto si desume dalla lettera del comma 2 dell’art. 208 in tema di transazione, nelle modalità e nelle forme di cui ai commi 3 e 4.
Qualora non sia possibile giungere ad un accordo bonario, la questione può essere deferita ad arbitri, qualora il contratto pubblico contenga la clausola compromissoria e di essa si fosse fatta esplicita menzione nel bando di gara. La questione, nei termini di cui all’art. 209, è deferita ad un collegio arbitrale, della cui composizione si occupa il disposto dell’art. 210.
In ultimo, su iniziativa della stazione appaltante, o di una delle parti (a testimonianza della bilateralità dei rimedi), l’ANAC esprime parere, previo contradditorio, relativamente a questioni sorte durante lo svolgimento delle procedure di gara. Tale parere obbliga le parti che vi abbiano preventivamente acconsentito ad attenersi a quanto in esso stabilito ed è impugnabile innanzi ai competenti organi di giustizia amministrativa (art. 211, comma 1 D.Lgs. 50/2016), a riprova della funzione para-giurisdizionale che le Autorità amministrative indipendenti stanno sempre più assumendo nel settore delle ADR.
Avv. Pierandrea Fulgenzi
[1] Si veda sul punto GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA, a cura di Franco Gaetano Scoca, G. GIAPPICHELLI EDITORE, settima edizione, 2017, pp. 699-721, ISBN/EAN 978-88-921-0975-9.