In economia, intesa come scienza delle azioni ed interazioni umane volte al soddisfacimento dei bisogni individuali e collettivi, il tempo emerge come bene supremo identificabile con l’esistenza stessa.
L’attività economica è infatti costituita da un novero di azioni, per lo più professionali, coordinate e continuative, rivolte alla produzione di tempo di esistenza, ossia di quanto necessario al suo prolungamento, tramite l’investimento di quote tempo già disponibili (il “lavoro”) e di altri beni strumentali a loro volta frutto dell’impiego di tempo. In quest’ottica, una qualsiasi attività economica sarà tanto più remunerativa quanto più sarà elevato il rapporto tra tempo prodotto e tempo investito.
I mutamenti ciclici relativi ai sistemi di produzione del tempo, tanto più quando strutturali perché afferenti alla profonda riconfigurazione degli agenti economici stessi e delle loro modalità di azione ed interazione, vengono chiamati “crisi”.
In quest’ottica, la ricchezza di un individuo, di un’azienda o di una nazione si identifica con il tempo prodotto (=profitto) in ragione delle attività economiche svolte e accumulato senza necessità di ulteriore impiego nella produzione del tempo stesso, che sarà quindi disponibile per essere vissuto, distribuito e rivolto al miglioramento della sua stessa riproduzione e fruizione (istruzione, sanità, divertimento, etc.).
In tale contesto, Il Diritto e l’Etica, in qualità di legge scritta e non scritta, si pongono come sovrastrutture del sistema economico rivolte a configurarne la coerenza, la sostenibilità e l’equità (concetti naturalmente cangianti, a seconda dei luoghi e dei periodi storici).
Naturalmente, per traslato, la ricchezza giunge a coincidere anche con la capacità stessa di creare surplus di tempo sempre maggiori e migliori, fino poi a sfociare nell’identificazione con il compiacimento dell’esercizio medesimo di tale prerogativa, persino quando elusiva e addirittura contraria al Diritto e all’Etica. Ecco, forse, spiegata l’insaziabile avidità di tempo che guida l’agire umano, cha arriva a trasformarlo da economico in predatorio.
Ed è proprio questo il caso del Finanz-Capitalismo, ossia del sistema basato sulla cartolarizzazione del tempo e sulla concentrazione verticale dello stesso e del potere sugli individui, le formazioni sociali e gli stessi Stati che ne consegue.
In questo sistema parassitario, in base a quanto consentito o non adeguatamente vietato dalle leggi scritte e non scritte e dai rapporti di forza, sociali, giuridici, economici e addirittura militari che ad esse presiedono, si intende eludere la necessità dell’investimento di tempo-lavoro strumentale alla produzione di nuovo surplus di tempo da parte di alcuni soggetti appartenenti alla cosiddetta élite finanziaria.
Il tempo, quindi, non viene più prodotto direttamente ma sottratto al surplus di tempo scaturente dall’attività economica, quindi svilita, impoverita e repressa, di altri sistemi e soggetti sotto-ordinati e sfruttati. E’ questo il motivo per cui il Finanz-Capitalismo alimenta crescenti diseguaglianze di ricchezza tra individui, classi sociali e persino Paesi, aggravando l’insostenibile discriminazione tra chi non ha tempo residuo oltre quello necessario alla mera sussistenza e chi, ormai, possiede tutto il tempo del mondo.
© Matteo Fulgenzi
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